La motivazione può essere intesa come un processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un determinato scopo in relazione alle condizioni ambientali. (Anolli e Legrenzi, 2001).
Alcune ricerche condotte in ambito di Psicologia dello sport pongono l’attenzione sulle ragione principali per le quali si pratica uno sport, a qualsiasi livello e qualsiasi sia la disciplina. Le ragioni maggiormente citate, frutto della ricerca sono; il divertimento, lo sviluppo di competenze fisiche, guadagnarsi il consenso sociale, accrescere e migliorare la forma fisica e l’aspetto, l’affiliazione, dove per affiliazione si intende lo sviluppo del senso di appartenenza alla categoria sportiva. Tralasciando di approfondire i livelli socio culturali ed economici per i quali un soggetto piuttosto che un altro decida di intraprendere una carriera sportiva, di seguito affronteremo nel dettaglio seppur brevemente la motivazione orientata al successo nello sport ed alcune tecniche di motivazione e gestione dello stress pre-performance. Ma che relazione esiste tra motivazione e successo?
Sembrerebbe dagli studi di Murray, McClelland e Atkinson, che un elevato desiderio di successo e una scarsa paura dell’insuccesso comportino un livello di abilità più elevato durante la competizione; mentre, al contrario, una limitata predisposizione al successo associata ad una marcata paura dell’insuccesso comportino prestazioni migliori durante l’allenamento. Ovviamente per l’analisi di cui sopra, è da non sottovalutare l’aspetto legato alla personalità del soggetto. Con questo intendiamo dire che ciò che per un soggetto potrebbe rappresentare avere successo, come ad esempio “vincere l’incontro”, per un altro il successo potrebbe essere rappresentato dall’aver fatto “una buona partita”.
Alcune ricerche (Weiss, Chaumenton, 1992), evidenziano infine come particolarmente importanti sembrano essere le risposte fornite dal contesto esterno, in particolare dall’allenatore: il feedback di quest’ultimo influenza notevolmente la percezione della propria abilità e la prestazione sportiva, soprattutto nei giovani adolescenti.
I risultati di questi due autori, evidenziano come i giovani prediligano dei rinforzi che non solo li incoraggino ma soprattutto forniscano loro suggerimenti di carattere tecnico volti a farli migliorare, e come questi stessi messaggi stimolino la loro percezione di competenza.
Uno degli obiettivi principali della psicologia dello sport è quello di fornire delle tecniche di gestione degli eventi o avvenimenti stressanti.
Tra queste tecniche abbiamo:
Il controllo del respiro, dove la semplice effettuazione di alcun respiri profondi e regolari permette all’atleta di abbassare in maniera immediata il livello di attivazione.
Il rilassamento progressivo neuromuscolare che consiste in esercizi di graduale contrazione e distensione di specifici distretti muscolari da svolgere con scadenza giornaliera, che coinvolgono la maggior parte dei muscoli del corpo.
Ed infine il training autogeno che si basa sull’apprendimento di esercizi di difficoltà crescente che consistono nel far ripetere mentalmente al soggetto delle frasi affermative, semplici e brevi.
Detto questo è da non sottovalutare o forse da tenere in primaria considerazione l’aspetto legato alle caratteristiche di personalità di ogni soggetto.
La psicologia insegna che se dobbiamo lanciare un cerchio e centrare un birillo il soggetto che avrà meno paura di riuscire sarà quello che si avvicinerà di più al birillo nel momento del lancio, invece quello che pensa di non farcela resterà ad una distanza maggiore.
Per cui è proprio il caso di dire:
PER FARCELA BISOGNA CREDERE DI FARCELA e in questo non c’è motivazione che tenga se non la percezione che si ha di se stessi e delle proprie capacità meglio nota come auto–coscienza o meta cognizione.
Avviciniamoci a questo concetto con la definizione generica di autostima: “Considerazione che un individuo ha di sé stesso”.
Una definizione psicologica, maggiormente esaustiva, che può aiutarci a comprenderne meglio il vero significato, ci viene data da Nathaniel Branden uno dei maggiori esperti sul tema: “Fiducia nelle nostre capacità di pensare e di superare le sfide fondamentali della vita” e “Fiducia nel nostro diritto al successo e alla felicità, nel nostro diritto di affermare le nostre necessità e desideri, di realizzare i nostri valori e goderci i frutti dei nostri sforzi; la sensazione di valere e meritare tutto questo”.
Dalla definizione di Branden capiamo che un atteggiamento generico di fiducia in sè stessi è alla base di una sana autostima, ma questa fiducia è innata e definita una volta per sempre o può essere il frutto di un lavoro che una persona può fare per raggiungerla?
Se diamo per buona la nostra premessa, di essere individui dinamici, la risposta è scontata, ovvero, anche se non possediamo una fiducia innata nelle nostre capacità possiamo acquisirla attraverso un percorso lento e graduale di crescita personale, teso alla conquista di un buon livello di autostima.
I primi nemici dell’autostima con i quali avere a che fare sono la pigrizia ed evitare il disagio, per poterli sconfiggere bisogna ammettere a se stessi, innanzitutto, con estrema chiarezza e sincerità i propri limiti e timori senza spaventarsene.
Vediamo adesso degli esercizi pratici dai quali iniziare per aumentare la stima in se stessi:
1) Scrivete tre elenchi, il primo contenente le cose che ammirate di voi stessi , il secondo i vostri punti di forza, il terzo i vostri successi. Leggete regolarmente la lista, prima di andare a letto.
2) Adottate un punto di vista positivo individuando dei pensieri funzionali alternativi. Ma alternativi a cosa? Alternativi ai vostri pensieri negativi, quelli che recitano “non faccio mai niente di buono”, “non riuscirò mai a laurearmi”, “nessuno mi ama davvero”… Usate realismo e razionalità!
3) Prestate molta attenzione all’igiene personale, indossate abiti ordinati, meglio evitare abbigliamento trasandato.
4) Mangiate buon cibo. Una sana e bilanciata alimentazione può fare la differenza. Fate allenamento fisico uscite per una passeggiata, andate in bicicletta, iscrivetevi in palestra.
5) Imparate a gestire lo stress e arricchite la vostra giornata con attività piacevoli che siano gratificanti e che meritate di concedervi.
6) Frequentate amici e parenti, la vita sociale non può fare altro che rafforzare la vostra immagine di sé.
7) Cercate di evitare le persone che vi fanno stare male.
Il risultato finale, la conquista di un alto livello di autostima, vi appagherà pienamente, facendovi sentire più potenti ed energici, in modo da acquisire maggior sicurezza nei vostri mezzi e maggior fiducia in voi stessi.
“Parlare di sessualità con i bambini e cercare di spiegare loro questo argomento non è mai stato semplice, infatti, il sesso resta uno dei grandi tabù che resistono in famiglia“.
Tuttavia, facilitare una sana consapevolezza del corpo e della sessualità, spiegando che il sesso è una naturale espressione dell’amore tra le persone è fondamentale proprio per evitare che, con il tempo, l’argomento diventi tabù.
In questo modo aiutiamo i bambini a considerare il sesso senza morbosità né inquietudine.
Il primo passo è affrontare l’argomento con il vostro partner in modo di essere in sintonia sulle parole da usare. Questo è un aspetto dell’essere genitori, che una coppia dovrebbe affrontare anche prima di avere figli.
Nell’affrontare l’argomento con i vostri figli tenete presenti questi punti di riferimento:
Partendo dalle basi, ovvero le differenze anatomiche tra uomo e donna, l’ovulo e lo spermatozoo, come nasce un bambino, potrete approfondire nel tempo (a seconda dell’età) gli aspetti più delicati, ovvero la sessualità vera e propria, le precauzioni, i rischi.
Iniziare a spiegare il sesso ai vostri bambini fin da piccoli significa educarli all’intimità, all’amore, al rispetto del proprio corpo e di quello altrui, inoltre vi permetterà di poterli istruire sui pericoli che possono correre e di prepararli a difendersi.
Come gestire l’ansia?
Si tratta di una domanda che ci poniamo, nel momento in cui ci sentiamo prendere dalla tensione e dal nervosismo. I sintomi che esprimono una situazione di ansia sono vari e vanno da un’eccessiva preoccupazione a reazioni anche di carattere fisico, come, per esempio, la difficoltà ad addormentarsi e a condurre un sonno regolare. Se si è troppo presi dallo stress e dai cattivi pensieri, ci si sente nervosi, si possono manifestare le palpitazioni, le vertigini, la nausea, l’aumento della sudorazione. Spesso lo stress e la competizione sono fattori scatenanti, che non ci permettono bene di gestire le nostre sensazioni e di riuscire in quello che facciamo. Ecco perché è importante tenere presente quali sono la cura e i rimedi utili.
La cura
La cura per l’ansia diventa necessaria, quando essa raggiunge livelli esagerati. Di solito si ricorre a dei farmaci e alla psicoterapia. I due approcci possono essere anche integrati. La terapia farmacologica si serve di antidepressivi e ansiolitici. Gli antidepressivi, in particolare, servono a curare gli stati di depressione, ma sono indicati anche nei disturbi d’ansia. Gli antidepressivi di ultima generazione sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, che agiscono proprio alterando i livelli cerebrali di un neurotrasmettitore, che aiuta i neuroni a comunicare fra di loro.
Gli ansiolitici più usati sono rappresentati dalle benzodiazepine, che generalmente sono efficaci, ma danno una serie molto ampia di effetti collaterali, come la sonnolenza. Inoltre possono fare in modo che si sviluppi una certa assuefazione. La psicoterapia è molto importante, perché, attraverso i colloqui con uno specialista, si possono scoprire anche le cause delle proprie ansie e, quindi, il proprio disagio può essere affrontato meglio. Molto utilizzata, a questo scopo, è la terapia cognitivo-comportamentale.
I rimedi
Ci sono alcune regole fondamentali, che dovremmo tenere presenti, nel momento in cui veniamo presi dall’ansia, che ci paralizza. La prima cosa da fare è quella di respirare. Spesso, quando siamo ansiosi, ci sembra che ci manchi l’aria. Allora bisogna fermarsi e fare due o tre respiri profondi, immaginando che insieme all’aria entri dentro di noi una sensazione di tranquillità, facendo fuoriuscire il disagio che proviamo. Respirare lentamente riduce i battiti cardiaci e porta più ossigeno al cervello. E’ importante parlare e pensare positivo. Fra linguaggio e pensiero esiste un legame inestricabile. Proprio per questo dobbiamo sempre essere capaci di utilizzare le parole per alterare la nostra percezione, sostituendo un linguaggio distruttivo ad uno consapevole e rincuorante.
Se siamo impegnati ad affrontare una sfida o una prova, possiamo utilizzare la tecnica della visualizzazione creativa. In questo modo possiamo rendere più visibile la vittoria da raggiungere e tutto ciò facilita la nostra sensazione di rilassamento. Corpo e mente vivono un rapporto molto stretto, per cui il nostro inconscio non farà differenza tra un successo immaginato e uno veramente realizzato. Fondamentale è anche l’attività fisica svolta regolarmente, perché l’esercizio fisico ci aiuta a rilassarci e permette al sistema immunitario di funzionare meglio. Inoltre non bisogna dimenticare di mangiare bene, evitando, se è possibile, l’eccessivo consumo di carne rossa e di cibi a base di zuccheri raffinati, i quali, secondo diverse ricerche scientifiche, non fanno altro che produrre irritabilità e difficoltà della memoria.
Ebbene si, nella mia pratica clinica, ormai sempre più spesso, oserei dire quasi sempre sento sempre più spesso frasi del tipo:“… ci siamo lasciati per colpa di facebook…” –“ abbiamo litigato su facebook…” “non parlo con le persone se non su facebook”
Ovviamente la mia osservazione, non vuole essere la ricerca spasmodica di un capro espiatorio o, la colpevolizzazione di un mezzo comunicativo per giustificare il malessere o le problematiche della nostra società. Ma di certo non possiamo non considerare, face book, come uno strumento sociale importante e a volte determinante delle nostre scelte, siano esse volte al positivo o al negativo.
Ritengo innanzitutto, ai nostri giorni, che sia inimmaginabile una vita che non sia vissuta almeno in parte o in alcuni aspetti come direbbe un informatico : ON LINE.
Molti sono gli aspetti postivi dell’utilizzo della rete, come la facilità di raggiungere delle informazioni, la possibilità, in tempi passati utopica, di stare in contatto in pochi secondi con persone care lontane, l’ulteriore importantissima possibilità culturale di frequentare corsi on line, quest’ultima fondamentale soprattutto per chi portatore di disabilità abbia delle difficoltà reali, motorie a spostarsi dalla propria abitazione e non solo.
Ma quando “essere on line” diventa una vera e propria ossessione o, condiziona le nostre scelte cosa accade ai nostri comportamenti?
Capita, infatti che spesso controlliamo i “nostri amori” o le nostre amicizie, insomma le nostre relazioni, monitorando le pubblicazioni su face book e, gli ultimi accessi a Whats App.
Antonio Polito in tempi addietro aveva pronosticato che i nostri figli avrebbero avuto l’appellativo di Generazione del pollice, riferendosi proprio all’eccessivo utilizzo di smart phone, tablet tali per cui le generazioni future sarebbero nate con una mutazione dell’ossatura della mano che avrebbe provocato, per effetto della digitazione, un pollice con una lunghezza superiore alla norma.
Diventiamo, in particolari momenti della nostra vita, a volte quotidianamente una sorta di controllori delle nostre e altrui vite, abbiamo bisogno di taggarci affinché si sappia dove siamo, quasi a dire se non lo pubblico su facebook, non esisto. Arrovelliamo i nostri pensieri, fino a convincerci, che un determinato mi piace, non indichi solo un semplice apprezzamento ma un interesse diverso, fino a raggiungere, nella nostra mente ed in caso di relazioni amorose, l’idea del tradimento.
Tutto questo a discapito, di un sano e più proficuo colloquio diretto con la persona, ostacolando e perché no serrando completamente qualsiasi aspetto comunicativo, in parola, con l’altro al di fuori di noi. Riservando alla comunicazione, aggressività, figlia del pregiudizio di quanto visto, letto su face book, dando per certo il virtuale piuttosto che quanto ci viene comunicato dalla persona con cui stiamo parlando.
Ovviamente, a volte potrebbe essere anche vero quanto da noi osservato on line, non vorrei peccare di buonismo, ma resta il fatto che credo fermamente che dovremmo meglio utilizzare questo strumento dandogli un peso meno fondamentale e meno condizionante nelle notre vite e, soprattutto nelle nostre relazioni.
È singolare infatti che la dipendenza da internet o Internet addiction sia stata annoverata tra le patologie psichiatriche presenti nel DSM – IV (manuale diagnostico di disturbi mentali).
(Fonte di quanto sotto esposto (Wikipedia) i fattori sono 5 vi ho segnalato i pù rilevanti a mio parere)
La dipendenza da Internet o Internet addiction è in realtà un termine piuttosto vasto che copre un’ampia varietà di comportamenti, ai quali sottostanno da un punto di vista psicologico problemi nel controllo degli impulsi e difficoltà nel regolare gli stati emotivi dolorosi ]. Inoltre la dipendenza da Internet e la dipendenza dal computer sono ormai inscindibilmente legate e a volte si usano i termini dipendenza online o dipendenza tecnologica per indicare il fenomeno nel suo complesso.
Secondo Kimberly Young, che ha fondato il Center for Online Addiction statunitense, sono stati infatti riconosciuti 5 tipi specifici di dipendenza online:
1. Dipendenza cibersessuale (o dal sesso virtuale): gli individui che ne soffrono sono di solito dediti allo scaricamento, all’utilizzo e al commercio di materiale pornografico online, o sono coinvolti in chat-room per soli adulti. La stessa può accompagnarsi a masturbazione compulsiva[7][8], vedi anche la più generale dipendenza sessuale.
2. Dipendenza ciber-relazionale (o dalle relazioni virtuali): gli individui che ne sono affetti diventano troppo coinvolti in relazioni online o possono intraprendere un adulterio virtuale. Gli amici online diventano rapidamente più importanti per l’individuo, spesso a scapito dei rapporti nella realtà con la famiglia e gli amici reali. In molti casi questo conduce all’instabilità coniugale o della famiglia.
Dire che forse, e in parte solo per quest’aspetto era meglio quando si stava peggio, quando ci si godeva un tramonto senza l’arrivo di una notifica, quando ci si sedeva ad un tavolo guardandosi negli occhi, quando potevi fare delle cose, visitare dei luoghi e perderti in essi senza che nessuno ci tagghi.
Dott.ssa Fabiola Esposito – Psicoterapeuta
Associazione Farma e Benessere
Via Petrellosa, 27 - 84013 - Cava de' Tirreni (SA)